La scuola degli asini selvaggi Visualizza ingrandito

La scuola degli asini selvaggi

9788855356060

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Poesie di Francesca Farina

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Francesca Farina, cultrice raffinata della poesia "classica" ma anche sensibile interprete dell'inquietudine e del disagio contemporanei, fa rivivere un modello di sonetto che potremmo definire "realistico-satirico", ricostruendo in versi sapientemente orchestrati una vicenda esistenzialmente difficile, ai limiti del disorientamento psichico, la via crucis di una docente di scuola media in condizioni disastrate: proprio in senso etimologico, laddove si assiste alla "caduta della stella" che l'insegnante “idealista” si illude di poter continuare a far risplendere, mentre "gli ideali" sono appunto una "parola spenta lungo gli scaffali". Il diario di un anno di scuola decisamente impervio si snoda in una catena di sonetti che compongono un mosaico straniante e allucinato. A volte può tornare in mente qualche esemplare del Belli, dei più macabri (penso a "Er deserto", in cui la squallida rappresentazione di un paesaggio cupo e desolato si anima solo della presenza di un cadavere). Il tono di Francesca Farina è infatti ben lontano dalle dolcezze e dalla suavitas del sonetto amoroso, poiché ci troviamo in una sorta di inferno, "in un loculo oscuro, sozzo, immondo", il cui orrore viene percepito con irrevocabile chiarezza fin dall'impatto iniziale ("Appena il primo giorno e già sprofondi / in una fossa nera senza fondo"..."Il mio calvario è appena cominciato / e già mi pesa a morte questa croce. / Avessi già all'inizio rinunciato, / ora non urlerei senza più voce! / Senza più voce, senza conoscenza, / mi riduco a un fantasma logorato..."); e magis magisque in dies i segni della progressiva distruzione di ogni possibile speranza si fanno più evidenti ("l'anima rastremata e fatta a pezzi", "l'ossessione / diventa quotidiana", "la pasta / della mia mente è tutta lievitata"; "Arrivi a scuola: né un cenno né un saluto, / appena la risposta a mezza bocca, / se ti arrischi a rivolger la parola / alle colleghe..."). Tutti sembrano prigionieri di un impietoso delirio che riduce gli esseri pensanti ad automi, a vantaggio "degli alunni, una schiera assatanata". Eccoli i veri protagonisti, i "pueri" a cui Quintiliano raccomandava di portare somma reverenza: "I miei alunni, questi ragazzacci / col cuore di gelato e Coca Cola, / con la pizza tra i denti, la pistola-/ giocattolo abbandonata, questi pazzi, / questi frenetici, questi tormentati / che rispondono al volo da insolenti, / questi astuti bulimici mai sazi. / Se li guardi negli occhi scopri il cuore, / l'enorme solitudine innocente, / la vita senza senso e con dolore. / Ti sembra che non sappiano mai niente / tra dire e fare, insondabile pudore, / non ti rispondono, come gente che non sente". Piccoli mostri la cui umanità è stata oltraggiata, oppressa, pervertita... Che cosa potrà salvare le loro anime devastate dagli ordigni con cui il loro intelletto si è forse irrimediabilmente contaminato? Lo sforzo sembra immane, i risultati sono scarsissimi e sempre scoraggianti, l'umiliazione e la frustrazione possono indurre un soggetto troppo sensibile alla perdita del senno. Riecheggia in alcuni versi la straordinaria autoanalisi ariostesca del povero Orlando che si sente sdoppiato, espropriato di sé stesso e divenuto un fantasma: "È proprio mio, quest'incubo che vivo? / Sono io che lo sogno, che mi aggiro / in queste stanze morte, in questo limbo?". Versi tra l'altro bellissimi, e sono di Francesca, "farina" del suo sacco e non di Messer Ludovico... Nessun moralismo, nessun buonismo nei contenuti di questi testi-testimonianze di un calvario, solo una verità crudele e amara per entrambe le parti (dell'allievo e del docente), solo un realismo esacerbato ma coerente. E il persistere coriaceo di una convinzione, di un progetto disperato, di un amore che nessuna violenza potrà mai estinguere: "Io vado avanti / a inculcare nel cranio degli stolti / la bella verità che piacque a tanti, / l'immenso scibile di tutti i sacri morti / resi immortali, diversi dagli insani / giovani scellerati, già sepolti" (Dalla prefazione di Silvio Raffo, aprile 2019)

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