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Poesie di Carmine Papa

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14/06/2020

Maestoso eppur amichevole il linguaggio dell’artista

Amore. Parola di conforto o di delusione. Tutto dipende dal contesto, dallo spazio nel quale riesce a entrare ed espandersi. Amore. Saperne parlare: è questo il vero passaggio, dove l’assoluto che partecipa al sostantivo assume, in modo definitivo, il senso che gli appartiene. Chi riesce a parlare d’amore con la sensibilità che proviene dal percepire il Senso, dal Sentire? Qui non vogliamo rifarci ad una genesi, ad una morfologia, a trame filologiche e culturali poiché il discorso diventerebbe dotto e stancante – e, tra l’altro, non saremmo nemmeno in grado di affrontarlo con la competenza dell’erudito -; qui ci interessa andare al fondo di una questione diversa, più interessante, e che riguarda colui che ne sa parlare e sa commuovere: l’artista. Ci sono un nome ed un cognome, Carmine Papa, che scrive – nel senso di comporre letterariamente – in modo tutt’altro che scontato. Egli traccia una sequenza che segna rotture e ricomposizioni sulla realtà del cuore, appunto dell’Amore. Non sappia di miele questa parola, di dolciastro che esautora l’udito. L’Amore di cui dice con fine tratto Papa è l’origine cui si dovrà tornare e che vive in noi sovente in una dimensione di dimenticanza proprio delle origini. Il poeta ci richiama ad una responsabilità attraverso i suoi versi – qualunque sia lo specifico trattato cui si dedica – che è pure un quesito abissale: chi interpreta i nostri giorni mentre noi stessi siamo indaffarati a vivere i nostri giorni? La distrazione conduce all’errore, che può essere ristretto, mitigato, ridotto a pressoché nulla se il poeta alza la voce del suo poetare, e cioè del suo sentire, nel silenzio davvero disturbante della quotidianità.
Ai poeti, e agli artisti in genere, bisogna essere grati, ai poeti come Carmine Papa, viaggiatori indefettibili dell’anima, indagatori discreti e, non di meno, sopraffini comunicatori del visibile e dell’Invisibile. Occorre possedere qualità particolari per comunicare responsabilità e compiti che ci interpellano a un dovere necessario. Papa legge e traduce il presente, sfumandolo in un orizzonte di speranza scevro di cattiveria. L’esistente è un compito, una responsabilità, un dovere ineludibile, è altresì enigmatico, spesso doloroso, distante il più delle volte dalle nostre attese, eppure costituisce l’unico dato empirico sul quale fondare il tempo che ci è dato; fondare il tempo attraverso un motivo essenziale, cioè ontologico. Ecco allora che, dinanzi alla disperazione, alla difficoltà, alla sfida del reale, si erge maestoso eppur amichevole il linguaggio dell’artista edificante, dell’uomo di fede che tommasianamente è in grado di riunire, nel verso che esorta alla vita, sia le proposizioni della Ragione sia le prescrizioni della Fede. C’è in Papa, nel suo essere artista definito, un grande senso di prossimità, di compartecipazione, di attivistica contemplazione del comportamento umano e del suo significato più radicale. L’artista non sopprime le obiezioni che sente di fare al mondo, inteso come insieme dell’umanità eterogenea, ma svolge il suo pensiero critico trasfigurando la prosa. Diventa, insomma, poeta per natura e per necessità. Anzi, più che divenire tale, egli è sempre stato tale e non poteva non ultimare il suo approdo esistenziale che nello spazio e nel tempo che Dio gli ha donato attraverso l'arte. Leggendo questo nostro poeta – mi si permetta il tono confidenzialmente possessivo, dal quale non possiamo esimerci se amiamo le sue opere –ricaviamo la certezza che egli non scriva per se medesimo, ma soltanto per l’altro o l’altra, suoi prossimi. Abbiamo la certa speranza, che per noi è gioia, che Papa già abbia raggiunto una conoscenza sottile e chiara e che desideri comunicarla, soltanto comunicarla, seppure con discrezione e rispetto per l’altrui sensibilità. I suoi testi, infatti – questa è la sensazione che ne ricaviamo -, non vogliono sperimentare e nemmeno subire l’apnea del potere, le ingiunzioni che pure ne conseguono e che, in un’ottica opportunistica, pure potrebbero gratificare la sua funzione pubblica. No, Papa scrive per dire ed affermare che l’involucro nel quale siamo costretti e lo spazio nel quale siamo gettati sono soltanto un limite temporale brevissimo, e che altro è il senso ed altrove è il luogo che ci appartiene, e che ha per nome Amore. Egli lo sa e, talvolta dolorosamente, ce ne spalanca il varco. -Luglio 2017

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